Dal 13 al 25 febbraio 2024 Francesco Marilungo ha tenuto un workshop su “Stuporosa” in India con artisti locali, ospite di Attakkalari Centre for Movement Arts (Bangalore).
Attraverso il supporto di Crossing the Sea è stato possibile realizzare il tour in India di Stuporosa, il mio ultimo progetto coreografico sul tema del lutto e del lamento funebre, permettendo contemporaneamente anche uno scambio culturale di tradizioni e pratiche coreografiche.
Il tour si è suddiviso in due tappe fondamentali la prima a Thrissur per il Itfok Festival nella regione del Kerala e la seconda a Bangalore in Karnataka in occasione della Biennale Danza organizzata dal centro Attakkalari.
A Thrissur oltre a fare due repliche della performance nella cornice del festival internazionale, abbiamo avuto modo di tenere una conferenza sui temi dello spettacolo e quindi attivare un confronto con la comunità locale sul modo di vivere la morte e di superare la crisi del cordoglio.
Le due culture, quella cattolico-cristiana dell’area mediterranea e quella induista indiana, pur essendo apparentemente lontane, hanno rivelato diversi aspetti in comune.
Innanzitutto è emerso che anche in India è presente la figura della prefica. E’ una pratica rituale particolarmente diffusa nella regione del Rajasthan. Queste donne, conosciute come Rudaali, erano tradizionalmente pagate per piangere la morte dei parenti maschi della famiglia reale. Successivamente, vennero coinvolte anche per i funerali delle famiglie di ricchi proprietari terrieri. E oggi esistono ancora in alcuni piccoli villaggi.
Tutte le Rudaali sono vedove appartenenti alle caste più basse e vittime di un forte stigma sociale in quanto considerate di cattivo auspicio, esseri marginali per la società indiana così come lo è in generale una donna che perde il proprio marito. E per questo spesso sono costrette a vivere al di fuori del villaggio in case fatte di paglia e fango.
Le Rudaali esprimono pubblicamente il dolore dei membri di quelle famiglie a cui non è consentito mostrare emozioni a causa del loro status sociale. Proprio come le prefiche del sud Itala, vestite di nero, si siedono e piangono gridando a gran voce, battendo la terra, battendosi il petto e intonando litanie i cui testi fanno riferimento alla vita della persona defunta. L’impatto del loro pianto induce tutte le persone presenti al funerale a piangere.
Interessante sottolineare lo stato di marginalità che accomuna le prefiche indiane a quelle italiane, marginalità che per certi versi consente loro di potersi relazionare con la morte, considerata in entrambe le culture un morbo, come qualcosa di contagioso. Questa marginalità dà loro accesso al mondo dei morti, le rendono assimilabili alle persone appena defunte che in attesa di accedere in una dimensione ultraterrena vivono anche loro in uno stato liminale.
Oltre alla conferenza, la direzione di Itfok Festival ha organizzato per la compagnia un incontro con i giovani Bramini della scuola di canti vedici nel villaggio di Thirunaavaaya sulle rive del fiume Nila. Una delle due uniche scuole rimaste nel Kerala.
La tradizione indiana dei canti vedici è stata riconosciuta nel 2003 patrimonio dell’UNESCO in quanto capolavoro del Patrimonio Orale e Immateriale dell’Umanità. I Veda indiani che si classificano in quattro tipologie – i Ṛgveda (inni), gli Yajurveda (formule sacrificali), i Sāmaveda (canti) e gli Atharvaveda (formule magiche) – sono considerati di origine non umana (apaurus·eya), senza inizio (anādi ) ed eterni (nitya). Questa consapevolezza ha spinto i Bramini dell’India a creare metodi unici per la loro conservazione e trasmissione senza alterare un solo accento. Questi metodi si basano su sofisticate tecniche mnemoniche.
I canti vedici del Kerala dei Bramini Nambudiri sono considerati i più antichi dell’India – canti che hanno più di 3.000 anni, tramandati unicamente per via orale da padre in figlio o da maestro ad allievo.
Entrare nella scuola di Thirunaavaaya e poter ascoltare i giovani allievi è stato un vero privilegio (non è consentito l’accesso ad occidentali non induisti), un’esperienza dall’impatto emotivo indescrivibile. Conoscendo il tema della nostra ricerca, hanno eseguito per noi alcuni Yajurveda, ovvero alcune formule sacrificali utilizzate durante la cerimonia funebre. La morte, la cremazione e i rituali funebri sono di fatto considerati nella religione Indu come l’ultimo sacrificio, quell’atto che permette il passaggio ad una nuova vita. E i canti vedici facilitano proprio questo momento di transizione.
Al termine della loro esecuzione, il loro insegnante ci ha chiesto se potevamo condividere qualche canto tradizionale italiano e Vera Di Lecce ha intonato alcuni lamenti funebri salentini suscitando nei giovani Bramini qualche risata, forse per l’evidente diversità di suoni.
Nonostante la difformità nella melodia e nel ritmo, si sono riscontrate alcune analogie nella partitura fisica che accompagnava i canti. I giovani bramini, proprio come le piangenti salentine, utilizzavano movimenti oscillatori del busto e del capo, probabilmente per innescare uno stato di trance, quello stato di ‘concentrazione sognante’ di cui parla anche Ernesto De Martino riferendosi al rito della lamentazione funebre nel Sud Italia.
Durante la seconda tappa del tour abbiamo presentato Stuporosa a Ranga Shankara, uno dei più famosi teatri di Bangalore, e tenuto un laboratorio di una settimana con esito performativo con 22 danzatori locali (14 studenti e 8 professionisti) presso il centro Attakkalari.
Con i 14 studenti abbiamo lavorato sulle figure di pathos che sono alla base dei riti della lamentazione funebre e su come raggiungere il pianto attraverso uno stato fisico alterato del corpo.
Vera Di Lecce ha cercato anche di passare loro alcuni principi base per comporre brani musicali attraverso la loop station.
Agli 8 danzatori professionisti è stata insegnata la danza col fazzoletto bianco di Stuporosa. Una rivisitazione della partitura fisica che le lamentatrici facevano attorno al corpo del defunto per facilitare il suo ingresso nel mondo dei morti. Presenti nella danza ci sono anche elementi della pizzica tradizionale salentina.
Anche a Bangalore abbiamo avuto modo di innescare uno scambio di culture e tradizioni. Parlando con i danzatori locali della genesi di Stuporosa e spiegando come sono nate le varie qualità di movimento utilizzate, abbiamo avuto modo di far conoscere loro alcune pratiche rituali italiane finalizzate al superamento della crisi del cordoglio – istituti culturali antichi che operano sul piano simbolico e si basano sui rapporti di mutuo soccorso individuo-comunità.
D’altra parte Attakkalari, essendo un centro che basa la sua ricerca sulle metodologie di insegnamento e sulla filosofia del movimento nelle tradizioni artistiche indiane, ci ha avvicinati ai costumi dell’India nelle arti coreutiche. Gli studenti ci hanno mostrato alcuni passi del Bharatanatyam, una danza popolare indiana ricodificata negli anni ’30 a partire da un’antica danza liturgica.
E siamo stati invitati al Goethe Institut di Bangalore per la presentazione del progetto Nagarika, un archivio online interattivo delle tradizioni somatiche indiane e delle espressioni contemporanee. In questa occasione abbiamo avuto modo di vedere dal vivo l’esecuzione di alcune sequenze di un’antica arte marziale indiana, il Kalarippayattu, da parte di uno dei più anziani maestri ancora in vita.